INTRODUZIONE ALL’AUDIO IN ALTA FEDELTA’
Mai come oggi si ascolta musica, di tutti i generi, con diversi apparati e in tutte le situazioni.
L’avvento del formato MP3 e dell’iPod e simili, da una parte ha diffuso la fruizione della musica molto più di prima, ma contemporaneamente ha allontanato “le masse” dall’ascolto in alta fedeltà, ritenuto dai più troppo complicato, costoso e sicuramente meno pratico.
Se sulla praticità è difficile competere con un minuscolo lettore MP3 o con l’inseparabile smatphone, sicuramente però tali dispositivi nulla possono in termini di qualità rispetto al più semplice ed economico degli impianti HI-FI, anche con la “scarsa” qualità nativa del formato MP3.
Per questo motivo ci sembra importante divulgare alcuni principi guida sulla composizione e utilizzo di un impianto di alta fedeltà che possano, attraverso semplici nozioni e tutorial tematici, facilitare l’avvicinamento di tutti al fantastico mondo dell’ascolto di qualità, in grado di trasmettere sensazioni ed emozioni di gran lunga più appaganti.
Per evitare di appesantire la trattazione con contenuti comprensibili solo a Laureati in Ingegneria Elettronica, si cercherà di adottare un linguaggio semplice e immediato, fornendo nozioni di base necessarie e sufficienti a comprendere i principi più importanti della materia e possibilmente a svegliare l’interesse a sperimentare l’esperienza dell’alta fedeltà.
Questo non esclude, attraverso appositi link tematici, l’approfondimento dei singoli argomenti, consentendo così di progredire per gradi nella conoscenza dei fenomeni acustici e delle apparecchiature a essi dedicate, in modo da poter configurare e sfruttare al meglio il proprio impianto.
PREMESSA
Chiariti i presupposti, iniziamo col enunciare alcuni principi di base intorno ai quali ragionare:
Un impianto HIFI
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serve a ricostruire in maniera più attendibile possibile un evento musicale;
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non può riprodurre quello che non esiste nella registrazione dell’evento;
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non può migliorare una registrazione, ma può facilmente peggiorarla;
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non ha prestazioni che prescindono dall’ambiente in cui riproduce l’evento;
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non deve necessariamente sacrificare un locale ad uso esclusivo;
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non suona ugualmente per tutti gli ascoltatori;
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non migliora sempre al crescere dell’investimento a lui dedicato.
Nelle trattazione seguente vedremo come ognuno dei principi enunciati possa essere molto più complesso di quanto la semplice affermazione non lasci intendere ma, allo stesso tempo, come in fondo si possa assemblare un sistema soddisfacente partendo da concetti molto semplici.
INTRODUZIONE (L’EVENTO MUSICALE)
Quasi tutti hanno avuto, almeno una volta, l’esperienza dell’ascolto di un evento musicale dal vivo, che sia stato un piccolo gruppo Jazz in un Pub, piuttosto che un concerto Rock in uno stadio o una grande Orchestra Sinfonica all’interno di un Auditorium.
Ognuno di questi eventi ha delle caratteristiche particolari che lo differenziano dagli altri, ma sono accomunati dal funzionamento del nostro sistema uditivo, che è composto di due orecchie poste ai lati della testa. Beh direte voi, bella scoperta! In effetti può sembrare banale rimarcare un’ovvietà, ma in realtà possiamo dire (semplificando) che questo è banalmente il motivo della nascita della “Stereofonia”.
Infatti la caratteristica più importante dell’ascolto è proprio che frequenze diverse, provenienti dai diversi punti del palcoscenico, raggiungono in momenti diversi e a livelli di “potenza” diversi, le due orecchie.
Per tentare di ricostruire la medesima percezione dei suoni costituenti l’evento musicale, si è reso necessario “riprendere” e in seguito “riprodurre” l’evento con almeno due apparati, rispettivamente due microfoni e due diffusori.
L’altra caratteristica importante è la tipologia dell’ambiente in cui l’evento si svolge: è ovvio che i suoni si comporteranno in maniera diversa a seconda che si propaghino in un piccolo ambiente, all’aperto o in una sala appositamente studiata per ospitare esecuzioni musicali come un Auditorium.
Queste differenze sono solitamente già contenute nella “registrazione” dell’evento e dipendono dal posizionamento e sistema di microfoni impiegati, scelti appositamente per “copiarlo” al meglio: dico solitamente perché, soprattutto con l’avvento del digitale, alcune correzioni possono essere introdotte successivamente, ma questa è un'altra storia che rimandiamo ad altra narrazione.
Infine, ultima ma non per importanza, altra caratteristica rilevante è rappresentata dall’ambiente in cui l’evento sarà riprodotto, che sia un soggiorno, altro locale o una stanza dedicata, che a loro volta restituiranno in maniera diversa la nostra registrazione.
Come abbiamo visto nella figura precedente, per ottenere al meglio la ricostruzione dell’evento musicale, dobbiamo considerare anche una percentuale di suoni riflessi, che raggiungeranno le nostre orecchie non solo in tempi, punti e “potenze” diversi, ma soprattutto da direzioni diverse.
Grazie a questi suoni riflessi l’orecchio riesce a ricostruire la “spazialità” dell’evento: ecco che il nostro cervello ricostruirà il piccolo Pub, lo Stadio o l’Auditorium.
Questo risultato dipenderà da diversi fattori:
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Qualità della registrazione;
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Tipologia dell’impianto di diffusione sonora;
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Dimensioni e caratteristiche dell’ambiente di ascolto;
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Posizionamento del sistema di diffusori.
E’ evidente che sul punto a) non abbiamo possibilità di intervenire (a meno che non producessimo musica da soli, ma questo va ben oltre gli obiettivi), concentriamoci quindi sui punti seguenti, direttamente dipendenti dalle nostre scelte.
Tipologia dell’impianto di diffusione sonora
Senza entrare in inutili tecnicismi, è sufficiente sapere che il messaggio musicale registrato sui nostri supporti (disco in vinile, CD, DVD, SACD ecc. ecc.) è essenzialmente composto da impulsi elettrici.
Questi vengono “potenziati” dall’amplificatore e inviati agli altoparlanti che, tramite il passaggio attraverso dei campi magnetici (avrete notato l’effetto calamita del retro di un altoparlante), vengono trasformati dalle membrane in vibrazioni che, spostando l’aria, producono il messaggio musicale che raggiungerà le nostre orecchie.
Quindi, quando si parla di Impianto HIFI o di alta fedeltà, si intende praticamente l’insieme di tre apparati essenziali:
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SORGENTE
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AMPLIFICAZIONE
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DIFFUSORI
Prima di analizzare i singoli apparecchi, la prima annotazione da fare è che esistono diversi livelli di integrazione o discretizzazione dei componenti di un impianto: si può avere un impianto all-in-one che in un unico apparato racchiude le diverse funzioni (salvo i diffusori se parliamo di HIFI) anche detto integrato,
o arrivare a configurazioni in cui ogni singolo componente (anche più apparati per singolo componente) è costituito da diversi apparecchi separati.
E’ inoltre opportuno rilevare che generalmente a un maggior grado di separazione dei componenti corrisponde una maggiore qualità del risultato finale, ma molto spesso impianti abbastanza semplici, ma ben assemblati e configurati, possono raggiungere prestazioni superiori a impianti molto complessi (e costosi), ma non equilibrati e correttamente installati.
Sorgenti
Il primo anello della catena ha l’importante compito di “leggere” il messaggio musicale e trasmetterlo al sistema di amplificazione, possibilmente introducendo meno colorazioni possibili (vedi punti b e c in premessa) e può essere digitale o analogico.
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CD player: sono senza dubbio gli apparecchi di lettura più diffusi e sono costituiti essenzialmente da un motore meccanico che permette al CD di ruotare ad alta velocità e da un lettore ottico che, tramite l’utilizzo di un laser, legge i dati impressi sul supporto e, dopo averli trasformati in segnale analogico tramite un convertitore D/A (digitale-analogico) anche detto DAC, li invia all’amplificatore. Il convertitore influisce in misura molto importante sulle prestazioni finali del lettore, ma altrettanto importanti sono una meccanica di lettura stabile e un’ottima alimentazione.
Le caratteristiche prestazionali da tenere in considerazione sono:
Risposta in frequenza: indica l’intervallo di frequenze riprodotte dall’amplificatore con minime perdite di volume. Perché un apparecchio possa definirsi Hi-Fi, la sua risposta in frequenza non deve mai essere inferiore ad almeno 20 – 20.000 Hz ± 0,5 dB.
Rapporto S/N (signal/noise): rappresenta il rapporto fra il segnale musicale e il rumore di fondo misurato in dB. Ovviamente un valore del rapporto più alto significa che il segnale musicale prevale sul rumore di fondo e praticamente si può affermare che già a partire da un rapporto ≥ 60dB, si possa fruire di un ascolto di buona qualità.
Distorsione armonica (THD): è la misura in percentuale della distorsione del segnale originale dovuta alle onde dette anche armoniche spurie. In questo caso a una percentuale di distorsione più bassa, corrisponderà un segnale più pulito (vedi a seguire quanto detto per la Potenza degli amplificatori). Bisogna anche dire che la distorsione è un parametro da tenere in conto per qualunque componente Hi-Fi.
Ingressi/uscite: oltre alla normale uscita analogica da collegare all’amplificazione (negli apparecchi di qualità superiore presente anche in versione bilanciata), sempre più spesso offrono anche uscite digitali utili nel caso si voglia “upgradare” il sistema con un convertitore di migliore qualità acquistabile in secondo tempo e ultimamente anche ingressi USB, sfruttabili per collegare una chiavetta, o ingressi digitali che permettono di utilizzare il DAC interno per leggere altre sorgenti digitali come un pc, da cui ascoltare la musica in formato liquido (files) in essi immagazzinati.
Meno diffusi, ma in grado di svolgere il medesimo compito, vi sono altri lettori di supporti digitali che praticamente ricalcano le medesime caratteristiche di funzionamento e dotazioni in/out e per cui valgono le stesse considerazioni di cui sopra: rimandando agli approfondimenti contenuti nei rispettivi links per una descrizione puntuale, possiamo brevemente elencarli come segue:
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DVD: significa Digital Video Disk e, come evidente, nasce per contenuti video con audio multicanale (Home Theater). Condivide con il CD player le componenti essenziali, peraltro essendo in grado di leggere anche i semplici CD. Ne esiste anche una versione audio (DVD audio) che si caratterizza per una risoluzione maggiore della registrazione. Data la sua vocazione video, quasi sempre (sempre nei modelli più recenti) comprende anche un’uscita HDMI per video ad alta risoluzione.
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SACD: acronimo di Super Audio CD, nasce per registrazioni audio ad alta definizione, anche multicanale. Anche per questo player è generalmente possibile leggere i normali CD e, in rari esemplari, anche i DVD e DVD audio.
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Blu Ray: è attualmente il supporto in grado di contenere i video alla più alta risoluzione disponibile, il che comporta una capienza di circa 25 Gb. e che deve il suo nome proprio al colore del suo raggio laser. Condivide con i precedenti lettori l’architettura di base e anche in questo caso si possono leggere anche CD, DVD praticamente sempre, a volte anche SACD e DVD audio.
Ritengo importante precisare che, ai fini puramente audio, salvo realizzazioni di alto livello e quindi economicamente impegnative, è sempre preferibile un ottimo CD player a un DVD o Blu Ray mediocre: un discorso a parte meriterebbero il DVD audio e il SACD, se non fosse per l’endemica scarsa disponibilità di incisioni dedicate, che li ha inevitabilmente relegati a posizioni marginali nel mercato.
Abbiamo visto le sorgenti digitali, ma ultimamente sono tornati in auge anche altre sorgenti di tipo analogico ed essenzialmente:
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GIRADISCHI: apparecchio meccanicamente abbastanza semplice, è costituito da una base, generalmente in legno, marmo o acrilico (ne esistono anche versioni molto più complesse in metallo o leghe sofisticate), che normalmente contiene un motore che trasmette la rotazione a un disco quasi sempre metallico su cui poggia il disco che, ruotando viene letto da una testina montata su un braccio con contrappeso. La trasmissione della rotazione (generalmente a 33 e 45 giri/minuto, ormai raramente a 78 giri/minuto) può essere diretta o a cinghia: la prima ha il vantaggio di una minore usura, mentre la seconda minimizza il trasferimento di vibrazioni dal motore al disco. Come si intuisce dalla precedente considerazione, ai fini delle prestazioni pure è preferibile il sistema a cinghia e, per le medesime motivazioni, sono preferibili sistemi che impiegano soluzioni più smorzanti, sia per la base che per i piedini di appoggio. Altra caratteristica importante è la massa del piatto su cui poggia il disco: infatti maggiore massa e quindi inerzia, garantiscono una maggiore stabilità di rotazione, una volta raggiunto il valore nominale richiesto. Il braccio può essere diritto, a S o tangenziale. In genere in metallo o leghe molto rigide e leggere (carbonio ecc.), i primi due sono i più diffusi: quello tangenziale ha costi abbastanza elevati per raggiungere una qualità apprezzabile. Un discorso a parte merita la testina: è la parte che influenza maggiormente la qualità di lettura (il resto del sistema può solo peggiorare quanto letto dalla testina). Praticamente è una “puntina” di diamante ancorata su un minuscolo albero che segue le modulazioni del solco sul disco, trasformandole in un segnale elettrico. Le testine possono essere di due tipologie: MC (Moving Coil), in cui ad oscillare è la bobina o MM (Mobile Magnet), in cui a muoversi è appunto il magnete. Molti preferiscono le testine MC per migliori prestazioni, a fronte però di un peso superiore, un costo generalmente più elevato e un segnale in uscita più basso, che rende necessario un Pre Phono adeguato (preamplificatore dedicato).
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SINTONIZZATORE: detti anche radio Hi-Fi, sono quei dispositivi che permettono la ricezione di programmi radiofonici. Vista la bassa qualità di tali segnali, nonostante gli attuali sistemi di trasmissione digitale (DAB) abbiano migliorato la situazione rispetto a qualche anno fa, nessun dispositivo, neppure il più costoso, potrà avvicinare la qualità sonora radiofonica a quella delle altre sorgenti ma, certamente, potrà migliorarla. Esistono modelli integrati nell’amplificatore che permettono di ridurre i costi, ma sono da escludere per chi pretende una qualità eccellente. Le caratteristiche da prendere in considerazione sono:
gamma di ricezione: identificano le frequenze che possono essere lette dal ricevitore. Si distinguono in analogiche (le classiche AM e FM) e digitali (DAB - Digital Audio Broadcasting);
distorsione armonica: vedi lettore CD/DVD;
rapporto S/N (signal/noise): identifica il rapporto fra il segnale e il rumore di fondo che qualsiasi apparecchiatura produce a causa del segnale elettromagnetico e si misura in dB. Più questo rapporto è alto meglio è, in quanto il segnale amplificato sarà molto maggiore di quello disturbatore di fondo;
sensibilità in ingresso: ossia la capacità di ricevere correttamente i segnali via etere.
Amplificazione
Come abbiamo visto, il primo anello della catena (la sorgente) ha l’importante compito di “leggere” il messaggio musicale e trasmetterlo al sistema di amplificazione, possibilmente introducendo meno colorazioni possibili (vedi punti b e c in Premessa).
La sorgente trasmetterà però un segnale a bassa potenza, che dovrà essere preamplificato, in modo da essere inviato nella maniera più “trasparente” (con la minor quantità di aggiunte di rumore e/o colorazioni) possibile all’amplificatore: quindi abbiamo innanzitutto capito che l’amplificazione di compone di due “stadi”, il preamplificatore e l’amplificatore (anche detto finale di potenza).
Preamplificatore Finale di Potenza
Se è possibile ricorrere alla soluzione che preveda la separazione in due apparecchi distinti (pre+finale), sostanzialmente i ragionamenti da fare a proposito dell’amplificazione, sono ugualmente validi riferendosi genericamente all’amplificatore, intendendo un unico apparecchio al cui interno sono presenti uno stadio di preamplificazione e uno di potenza, anche detto amplificatore integrato.
Amplificatore Integrato
Quest’ultima categoria, oltre ad annoverare esemplari di altissima qualità, con prestazioni a volte paragonabili se non addirittura superiori (nelle realizzazioni migliori) a numerose accoppiate pre+finale, costituisce di gran lunga la soluzione più diffusa: questo grazie alla minor complessità di installazione (minori ingombri e collegamenti) e ai vantaggi economici a parità di qualità realizzativa e prestazionale.
Prima di passare all’analisi delle principali caratteristiche che possono influenza la scelta della nostra amplificazione, possiamo aggiungere che anche lo stadio di alimentazione riveste una grande importanza, al punto che nelle realizzazioni migliori, spesso è racchiuso in un apparecchio dedicato (alimentatore separato), aumentando così la discretizzazione del sistema di amplificazione.
Senza voler entrare in inutili (in questa sede) tecnicismi, ciò è dovuto essenzialmente alla riduzione delle interferenze che il circuito di alimentazione potrebbe trasmettere soprattutto nella fase di preamplificazione del segnale proveniente dalla nostra sorgente.
Un altro aspetto importante dell’alimentatore è il suo dimensionamento: un’alimentazione sottodimensionata fornirà poca “benzina” alla nostra amplificazione, lavorando spesso in condizioni limite, con conseguenti problemi di aumento delle interferenze, surriscaldamento e quindi affidabilità: potremmo banalmente dire che, quando si compra un amplificatore, bisogna dare importanza (a parità delle altre caratteristiche) al suo peso, spesso rappresentato proprio dalla generosità dello stadio dell’alimentatore.
Ma torniamo al nostro amplificatore integrato (per il quale valgono tutte le considerazioni di cui sopra, essendo in pratica l’unione di pre+finale+alimentatore), sottolineando che la sua scelta va attentamente ponderata, costituendo “il motore” del nostro impianto, il suo cuore pulsante, oltre che il centro di smistamento dei segnali provenienti dalle sorgenti e diretti verso i diffusori: è fondamentale che tale compito venga svolto senza apprezzabili deterioramenti del segnale da amplificare.
Riassumiamo le caratteristiche base da considerare per la scelta del nostro amplificatore:
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Potenza: misurata in watt, indica la capacità di amplificare un segnale. Va presa in considerazione la potenza erogata in watt RMS, tralasciando le indicazioni di picco o musicale, generalmente più “generose” e commercialmente accattivanti. I Watt RMS indicano la massima potenza sostenibile per un certo lasso di tempo con un tasso di distorsione accettabile (espressa nell’ordine di qualche millesimo % - esempio 0,005% a 100Watt su 8 Ohm con segnale di 1 KHz). Credo sia opportuno precisare che non sono necessarie potenze stratosferiche per sonorizzare adeguatamente un locale di media grandezza (30-40 mq.): già con 50+50 Watt RMS di un buon apparecchio si ottiene lo scopo. Bisogna però considerare che una certa “riserva” di potenza permetterà all’amplificatore di lavorare in agilità, con apprezzabili benefici qualitativi e di affidabilità: questo perché non dobbiamo dimenticare che, all’aumentare del volume, corrisponde un aumento di distorsione e un maggior calore prodotto dall’amplificatore.
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Classi di funzionamento: possiamo dire che gli amplificatori prevedono diverse tipologie di circuiti che amplificano i segnali con modalità differenti e che possiamo riassumere come:
Classe A: minori distorsioni e quindi migliore qualità, ma maggiore surriscaldamento.
Classe B: maggiori distorsioni, ma riscaldano decisamente meno.
Classe AB: circuitazione ibrida, che permette un compromesso accettabile tra le precedenti.
Tralasciando la Classe C praticamente inesistente, va menzionata necessariamente la più moderna Classe D: molti associano erroneamente la D a “digitale” (in quanto si tratta di un amplificatore di “commutazione”, che si attiva e si disattiva ad una frequenza specifica), mentre invece D era solo la prima lettera disponibile nell'alfabeto. Questi amplificatori hanno un rendimento molto più alto di quelli tradizionali, riuscendo a generare potenze ragguardevoli a fronte di bassissima produzione di calore. Questo permette di contenere notevolmente le dimensioni anche con alte potenze. Vi è da dire che, almeno inizialmente, gli appassionati gli hanno riservato un’accoglienza freddina a causa delle scarse prestazioni qualitative, anche se gli ultimi esemplari hanno ridotto il gap di molto, diventando una valida alternativa almeno per soluzioni di basso costo.
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Risposta in frequenza: (vedi quanto detto per le sorgenti)
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Rapporto S/N (signal/noise): (vedi quanto detto per le sorgenti)
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Distorsione armonica (THD): (vedi quanto detto per le sorgenti)
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Ingressi/uscite: essendo come detto il centro di smistamento dei segnali provenienti dalle sorgenti, in linea di massima più ingressi avremo a disposizione e meglio sarà. Di norma essi sono rappresentati da coppie di connettori RCA, ma negli apparecchi più sofisticati, alcuni ingressi possono essere doppiati in Bilanciati (connettore Cannon). Da qualche tempo sta tornando in auge anche il vecchio Giradischi e quindi sarebbe auspicabile un ingresso Phono (attenzione perché tale ingresso è assoggettato a una preamplificazione dedicata e non è possibile utilizzare un qualsiasi ingresso pre).
In alcuni apparecchi è anche presente la possibilità di separare la sezione pre dal finale di potenza (quindi vi saranno due coppie di RCA rappresentanti l’uscita del pre e l’ingresso del finale).
Esempio del pannello connessioni di un ottimo amplificatore integrato
Per quanto riguarda le uscite, oltre alle inevitabili connessioni per i diffusori (a volte, come visto, anche doppiate), può esserci una uscita per pilotare un finale (aggiuntivo o alternativo a quello integrato): va precisato che nel caso di uscite per diffusori sdoppiate, bisogna riporre grande attenzione nel caso si intenda collegare più di una coppia di diffusori, nel qual caso vanno lette attentamente le istruzioni per evitare il sovraccarico (e conseguente collasso) degli stadi finali.
Sistemi di Diffusori
Siamo finalmente arrivati all'ultimo anello della nostra catena di riproduzione HI-FI, il Sistema di Diffusori (anche detto altoparlanti, casse acustiche ecc.), deputato a trasformare i preziosi segnali, letti dalla sorgente e “potenziati” dall'amplificatore, in suoni udibili dalle nostre orecchie.
La prima considerazione da fare è che esistono sul mercato innumerevoli modelli di prezzi diversi anche per numerosi ordini di grandezza (da poche decine di € fino a oltre le centinaia di migliaia), che si differenziano per dimensione, numero di altoparlanti impiegati, sistema di caricamento, configurazione e tipologia di installazione.
E' inutile dire che per una trattazione veramente esaustiva avremmo bisogno di troppo spazio in questa sede, oltre alla necessità di utilizzare un linguaggio inevitabilmente tecnico che, come premesso, riserviamo agli eventuali approfondimenti (chi fosse interessato, tenga d'occhio la sezione Tutorial e Guide e a breve potrebbe essere accontentato).
Cerchiamo comunque di analizzare almeno le macro-categorie, dando le indicazioni necessarie e sufficienti a orientare la scelta su una serie di modelli piuttosto che brancolare nel buio totale: innanzitutto premetto che qui ci occuperemo solo di sistemi stereofonici (quindi 2 diffusori), anche se vedremo che, in alcuni casi, si possono avere 3 o anche 4 diffusori, sebbene sempre rigorosamente stereofonici.
Iniziamo col separare le prime grandi categorie di diffusori in:
diffusori bookshelf (o da libreria) diffusori da stand (o da piedistallo) diffusori da pavimento
In realtà, aldilà della semplice comprensione che gli stessi nomi suggeriscono per il loro impiego, i primi due potrebbero appartenere alla stessa categoria, ma personalmente preferisco differenziarli per i motivi che spiegherò nella descrizione che segue delle singole tipologie.
A loro volta le suddette categorie si possono ulteriormente in base al tipo di “contenitore” in:
Diffusori in cassa chiusa (sospensione pneumatica): come si intuisce, prevede che gli altoparlanti siano montati in un contenitore chiuso, ossia una cassa che non metta in contatto l’aria contenuta nel suo volume con l’ambiente esterno; a parità di estensione in frequenza, una cassa chiusa necessita di un woofer di dimensioni doppie in un volume circa doppio rispetto ad un sistema accordato. Scegliendo con cura un woofer con caratteristiche adeguate, calcolando adeguatamente il dimensionamento della cassa e intervenendo con materiale assorbente interno, si riesce a ottimizzare la risposta alle frequenze più basse, riuscendo al contempo a trovare un compromesso tra dimensioni e prestazioni. Questo sistema acustico è apprezzabile per un suono pulito, neutro, asciutto, in breve realistico. Il punto debole di questo sistema acustico è il compromesso importante tra estensione in basso della risposta, dimensioni dell'altoparlante e del mobile ed efficienza (volume di suono emesso a parità di potenza elettrica applicata). Per le sue caratteristiche, a meno di ascolto di generi musicali “soft” (esempio musica polifonica e/o piccoli ensemble da camera, ecc.), questa tipologia è preferibile per diffusori di grandi dimensioni (da pavimento).
Diffusori accordati (bass reflex ecc.): in realtà esistono diversi sistemi di diffusori accordati, ma qui tratteremo quello maggiormente diffuso e utilizzato, Il bass reflex. E’ una tecnica di progettazione dell'insieme "cassa acustica + altoparlante" che prevede un box sul quale viene progettata e realizzata una apertura, detta "raccordo del reflex", che non fa altro che rifasare il suono emesso posteriormente dal cono del woofer. Il sistema bass reflex permette quindi di migliorare l'efficienza per le basse frequenze estendendo la risposta in frequenza dell'altoparlante. Di contro il raccordo reflex potrebbe peggiorare la risposta per le frequenze in cui esso agisce: una progettazione superficiale fa sì che le frequenze provenienti dal raccordo del reflex possano non essere perfettamente "allineate" (in fase) con quelle emesse dalla parte anteriore del diffusore. Questo può produrre risonanze, minore limpidezza sonora e un fastidioso effetto "scatolare". Per quanto detto, tale sistema si presta alla realizzazione di diffusori di piccole dimensioni (ma non solo) con un ottimo compromesso sulla riproduzione anche della gamma bassa del messaggio musicale e per questo risulta adatto ai diffusori da libreria o da stand. Va detto infine che, aldilà delle migliori realizzazioni, generalmente per le migliori prestazioni i “puristi” preferiscono grandi diffusori da pavimento in sospensione pneumatica, ma non la ritengo una verità assoluta.
Come su accennato, voglio chiarire il perché preferisco distinguere in due categorie i diffusori da libreria e da stand. Questa distinzione dipende proprio dal discorso appena affrontato per il bass reflex: assumendo che molto probabilmente i diffusori di queste categoria avranno delle dimensioni contenute, altrettanto probabile sarà che appartengano alla tipologia dei diffusori accordati. Questo comporta che avranno un condotto attraverso il quale un certa quantità d’aria (e di suono) verrà emessa verso l’esterno. Se tale condotto si troverà nella parete posteriore del nostro diffusore, personalmente ne sconsiglio un impiego in libreria, dato che la vicinanza con una parete posteriore potrebbe influire anche pesantemente sulla correttezza di emissione, peggiorando la qualità finale delle prestazioni.
Esiste ancora una tipologia di diffusori detti a dipolo: la principale caratteristica è di prevedere una diffusione sia frontale che posteriore e può essere costituito da più altoparlanti montati sulle pareti frontale e posteriore di una cassa, o montati su un semplice pannello:
Dipolo “chiuso” Dipolo “aperto”
Tale configurazione, se ben realizzata e posizionata, riesce a “smaterializzare” la presenza dei diffusori in ambiente, dando una sensazione di spazialità molto naturale: a fronte avremo però la necessità di amplificazioni generose e altoparlanti di grosse dimensioni per riprodurre in maniera soddisfacente l’intera gamma di frequenze che compongono un segnale musicale.
Della tipologia a dipolo aperto fanno anche parte i diffusori elettrostatici, costituiti da un pannello in cui un trasformatore genera un campo elettrico uniforme ma di intensità variabile tra due griglie conduttive perforate (in modo di permettere all’aria di attraversarle senza ostacoli) tra le quali vi è il diaframma dell’altoparlante, una sottile pellicola plastica (spesso mylar) rivestita di materiale conduttivo (grafite). Quando alle griglie viene applicato un potenziale, la membrana oscilla verso la griglia che in quel momento è positiva e respinta dall'altra negativa: queste oscillazioni fanno vibrare l'aria circostante producendo le onde sonore che riprodurranno in nostro messaggio musicale.
E’ opportuno precisare che tutte le tipologie posseggono specifiche positive e negative, proprie dei presupposti di progettazione e dei compromessi imposti dal favorire più o meno un aspetto rispetto ad altri, ma ciò non impedisce, con gli opportuni accorgimenti di installazione e progettazione dell’insieme impianto HIFI + ambiente, di raggiungere risultati eccellenti in ogni configurazione: l’importante è conoscere chiaramente cosa si vuole e sapere come ottenerlo.
Dimensioni e Caratteristiche dell’ambiente di ascolto
Ora che abbiamo un’idea più chiara su come si compone un impianto HIFI, possiamo passare a occuparci dell’ambiente in cui il nostro impianto sarà chiamato a dare il meglio di se. In realtà bisogna subito chiarire che la scelta dell’impianto è di fatto subordinata all’ambiente d’ascolto, anche se per comodità di trattazione (e anche perché senza una conoscenza di base dei componenti, sarebbe stato complicato spiegare le implicazioni dell’ambiente d’ascolto) ho invertito le sezioni.
Iniziamo col dire che, prima ancora che l’estensione (superficie in mq.), la forma del nostro locale ha la sua importanza ai fini di una corretta riproduzione del suono.
Infatti esistono dei rapporti “ideali” tra lunghezza, larghezza e altezza dell’ambiente, in relazione alla propagazione delle onde sonore.
Premettendo che la situazione peggiore è rappresentata da un locale “cubico”, tali rapporti possono essere anche pesantemente influenzati dalla tipologia delle pareti e degli arredi presenti, che possono rappresentare delle aree riflettenti o assorbenti e a diverse frequenze.
Mi rendo conto di aver introdotto probabilmente dei concetti che non aiutano, ma posso assicurare che un’eccessiva semplificazione in questo campo, potrebbe essere ben più dannosa.
In questa sede basti sapere che l’ambiente riveste un ruolo molto importante sul risultato finale e, data la quantità di parametri da controllare, sarebbe opportuno ricorrere a professionisti per “accordare” al meglio il nostro impianto.
Possiamo però enunciare almeno dei principi base:
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In ambienti molto piccoli è preferibile un ottimo diffusore da libreria;
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Se l’ambiente, pur piccolo, si sviluppa prevalentemente in lunghezza, si può pensare a una coppia di diffusori da stand (ancora sufficientemente piccoli, ma con maggiore necessità di aria intorno, soprattutto dietro);
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Quando ci avviciniamo ai 25-30 mq. possiamo iniziare a pensare a diffusori da pavimento;
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Se abbiamo la fortuna di avere a disposizione un locale molto grande (≥ 40 mq.), allora non abbiamo limitazioni: possiamo aspirare al massimo, costituito dai grandi sistemi da pavimento, a dipolo e/o elettrostatici.
In ogni caso è tassativo adottare la migliore tra le soluzioni minori, piuttosto che una mediocre (a causa dell’ambiente più che del diffusore) tra quelle di maggior pregio e dimensione: infatti, come detto all’inizio di questa trattazione, non è detto che l’impianto più costoso suoni sempre e ovunque meglio di uno assemblato con cura, seppure di minor costo totale.
Posizionamento del sistema di diffusori
A questo punto, con tutte le conoscenze apprese (se avete avuto il coraggio e una buona dose di autolesionismo per arrivare fino in fondo), possiamo analizzare alcune regole di base per posizionare al meglio il nostro impianto.
Premettendo sempre che le indicazioni sono puramente di carattere generale (caso per caso bisogna adottare degli accorgimenti “su misura” per ottenere il meglio), iniziamo liquidando velocemente il posizionamento delle elettroniche: al fine di contenere la lunghezza dei collegamenti, generalmente finiscono al centro del nostro sistema di diffusori, meglio se possibile su un mobiletto dedicato per contenere gli effetti dannosi soprattutto delle vibrazioni, che attraverso il pavimento e l’aria i diffusori propagano in ambiente. Unico accorgimento da osservare è di riservare uno spazio sufficientemente “arioso” all’amplificazione che può raggiungere anche temperature elevate.
Altre posizioni sono comunque possibili, ma ricorrendo a installazioni che prevedano almeno la collocazione “sottotraccia” dei collegamenti, a meno di avere un reticolo di cavi che solcano il pavimento (vedi guida diffusori a incasso).
Messe a posto le elettroniche, passiamo alla parte più complessa, rappresentata dalla corretta posizione del sistema di diffusori: partiamo da quella che si ritiene la regola canonica per un impianto stereofonico, che possiamo schematizzare così:
Come abbiamo visto, al crescere in dimensione del diffusore generalmente corrisponde la necessità di una maggiore distanza dalle pareti laterali e posteriore, fino ad arrivare ai diffusori a dipolo e elettrostatici, che richiedono ancora maggiore spazio per potersi esprimere al meglio.
Resta comunque necessario, oltre che fortemente consigliato, ricorrere a diversi tentativi prima di individuare la migliore posizione per spazialità, profondità e intellegibilità del messaggio sonoro.
Ricordate sempre che l’ideale sarebbe quello di ottenere una scena sonora in cui non si percepisca fisicamente la provenienza dei suoni: semplificando le casse spariscono e resta solo la musica.
In alcuni casi, anche se non va considerata una regola valida in ogni caso, potrebbe essere utile anche orientare la parete frontale del diffusore verso la posizione d’ascolto
Un’ulteriore buona norma è quella di posizionare i nostri diffusori in modo che l’altoparlante dedicato alle frequenze più alte (tweeter) sia grosso modo all’altezza delle orecchie del potenziale ascoltatore (questo perché tali frequenze sono le più direzionali e quindi sarebbe auspicabile posizionarsi il più “in asse” possibile).
Inoltre mi sento di consigliare di interporre tra il diffusore e la sua superficie d’appoggio (che sia pavimento, stand dedicati o libreria) degli “smorzatori” (punte coniche, spikes disaccoppiatori ecc.), sia al fine di minimizzare la trasmissione di vibrazioni all’ambiente (e quindi anche alle elettroniche) e sia per ridurre l’insorgenza di risonanze non desiderate che possono affliggere il diffusore stesso.
Punte coniche Spikes disaccoppiatori
Un ultimo cenno credo sia necessario a proposito dei cavi: è vero che esistono cavi in grado di modificare apprezzabilmente il suono del nostro impianto, ma senza scomodare pratiche esoteriche e influenze ultraterrene, nessun cavo può far suonare bene un impianto assemblato e posizionato male.
In questo campo mi sento di consigliare di ricorrere a cavi appositamente studiati per impiego HIFI (soprattutto per la buona qualità in genere degli spinotti), ma affidandosi ai consigli di un professionista, in seconda battuta verificando a orecchio se effettivamente apportano un qualche miglioramento e in ogni caso senza “accendere un mutuo” per il loro acquisto: spendete quei soldi in componenti, trattamento del locale d’ascolto e soprattutto in acquisto di musica.
Possiamo concludere questa breve trattazione con la speranza di aver fornito alcune indicazioni utili, con la consapevolezza di aver esaminato molti aspetti con voluta superficialità, ma promettendo di approfondire come meritano almeno alcuni dei temi qui affrontati.