Il subwoofer: cos’è?
PARTE 1
di Umberto Valentini , pubblicato il 20 maggio 2016 nel canale ARCH-HIFI
Tipologia di carico dell’altoparlante
Bass Reflex
Consiste in una tecnica di realizzazione del sistema "cassa acustica + altoparlante" in cui si decide di utilizzare il suono generato posteriormente dall'altoparlante, indirizzandolo verso l’esterno della cassa acustica attraverso un’apertura o condotto opportunamente dimensionati.
Questa apertura o condotto, detta "accordo del reflex", in base alla sua progettazione (dipendente dai parametri dell’altoparlante e volume del diffusore), produrrà un “rinforzo” dell’emissione in una ristretta gamma di frequenze, il cui valore medio è detto “frequenza di risonanza”.
PRO: a parità di altoparlante e dimensione della cassa acustica, il Bass Reflex consente maggiore estensione in basso e, se ben progettato, permette di migliorare l'efficienza e ridurre molto l'escursione del cono dell’altoparlante, potendo così di aumentare la potenza applicabile al sistema.
CONTRO: in caso di progettazione approssimativa, le frequenze emesse dal condotto del reflex rischiano di essere "fuori fase" rispetto a quelle emesse dall’altoparlante, il che può generare risonanze, rimbombi, minor limpidezza sonora e uno sgradevole effetto "scatolare". Considerando inoltre che in un bass reflex il cono dell'altoparlante è meno smorzato, va evidenziato il rischio che l'aumento (esponenziale) dell'escursione del cono, possa causare la rottura dell'altoparlante.
Radiatore Passivo
Possiamo considerarla una variante del Bass Reflex in cui il condotto viene sostituito da un altoparlante “passivo” (da cui il nome): quest’ultimo è in pratica un altoparlante privato del suo “motore”, ovvero costituito sommariamente dal cono, sospensione e cestello.
Nella configurazione che stiamo considerando quello che dovrebbe fare il condotto reflex viene fatto dalla membrana del radiatore passivo: l’aria che viene spostata dal woofer all’interno della cassa acustica mette in movimento la membrana del radiatore che, in base alla sua massa e cedevolezza della sospensione, ha una sua frequenza di risonanza che in sostanza diventa la frequenza di accordo del sistema.
PRO: rispetto al bass reflex tradizionale, un sistema a radiatore passivo ha il vantaggio di non produrre rumori o soffi prodotti dall’aria in movimento nel condotto. Spesso le case costruttrici forniscono delle masse aggiuntive che permettono di “sintonizzare” la frequenza di risonanza del radiatore stesso alla frequenza desiderata. Altro vantaggio è quello di risuonare quasi esclusivamente alla frequenza sintonizzata, essendo pertanto più preciso nella risposta. Infine tale configurazione è particolarmente vantaggiosa quando, volendo realizzare un box di piccole dimensioni o desiderando una bassissima frequenza di accordo, avremmo seri problemi col dimensionamento adeguato del condotto reflex.
CONTRO: essenzialmente possiamo considerare come svantaggio il costo: senza dubbio un “tubo” costa meno di un altoparlante, anche se passivo.
Carico Simmetrico
Come possiamo facilmente dedurre dall’immagine sottostante, si tratta di un sistema di caricamento costituito da un altoparlante in cassa chiusa (sospensione pneumatica) che però non emette direttamente in ambiente, ma in un’altra cassa Bass Reflex posta frontalmente.
Questo comporta che l’emissione dell’altoparlante deve forzatamente passare attraverso un condotto di accordo: ciò produrrà una risposta in frequenza del tipo passa-banda, caratterizzata cioè da un andamento “a campana”, con un’attenuazione delle frequenze inferiori e superiori a quella di accordo.
Questo tipo di risposta, autolimitata a una porzione di frequenze determinabile in progettazione, appare subito particolarmente indicata per realizzare dei Subwoofer. Va tuttavia considerato come i diversi parametri siano tra loro collegati e dipendenti: l’estensione della banda di frequenze riproducibili può essere aumentata, ma a discapito dell’efficienza del sistema (serve maggiore potenza per ottenere la medesima pressione sonora), oppure si può concentrare l’emissione su una piccola porzione di frequenze (picco), riducendo però drasticamente l’intervallo riproducibile.
Anche in questo caso, al condotto di accordo può essere sostituito un radiatore passivo.
Infine bisogna evidenziare come i costruttori di altoparlanti stiano sempre più proponendo prodotti con parametri elettroacustici tali da permettere di installarli anche in mobili di ridottissime dimensioni con sempre meno compromessi nelle altre caratteristiche, il che in questo particolare tipo di configurazione, permette di realizzare mobili del tutto “anonimi” (senza che si intravedano altoparlanti e/o griglie) e facilmente mimetizzabili in arredamento.
PRO: le dimensioni di un carico simmetrico, anche se costituito in pratica da due mobili, sono spesso minori rispetto ad altre configurazioni a parità di frequenze riproducibili. Come già evidenziato, il vantaggio di non avere altoparlanti “a vista”, permette realizzazioni/installazioni quasi invisibili (il condotto o il passivo possono essere collocati in maniera nascosta). Infine da rimarcare la possibilità del sistema di privilegiare la larghezza di banda o l’efficienza (più sarà stretta la banda intorno alla frequenza di risonanza, più sarà riprodotta forte e viceversa) ed eliminare le armoniche superiori.
CONTRO: innanzi tutto bisogna considerare la maggiore complessità realizzativa del box. A seguire va evidenziata la minore efficienza del sistema (anche se studi più approfonditi hanno ridotto l’incidenza di questo difetto) che, se progettato per una gamma di frequenze riproducibili abbastanza estesa, richiederà maggiore potenza dell’amplificatore. Infine bisogna porre molta attenzione alla qualità della progettazione che, soprattutto per quanto riguarda la scelta dei parametri iniziali (gamma riproducibile/efficienza, dimensioni e tipologia del condotto/passivo), possono incidere pesantemente sulle prestazioni finali, in termini di emissione e di distorsioni apprezzabili a determinate frequenze.
Doppio Carico Relex
Apparso nel mercato verso la fine degli anni ’80 grazie alla famosissima marca BOSE, è questa una configurazione che possiamo considerare una variante del “Carico Simmetrico”, come peraltro risulta evidente dall’immagine seguente:
La prima osservazione (dedicata ai più tecnici) che deriva dall’immagine sopra è che dalle due aperture (condotti) fuoriescono emissioni in controfase, ovvero quando l’altoparlante avanza l’aria fuoriesce dalla camera reflex frontale e viene aspirata da quella posteriore e viceversa. Inoltre, quando correttamente progettato, tale configurazione avrà una risposta “a campana” come per il “carico simmetrico”, ma in questo caso la pendenza dei due fianchi della campana sarà circa il doppio (carico simmetrico = passa-banda 12 dB, doppio reflex = passa-banda 22/24 dB):
PRO: il primo vantaggio da rilevare consiste in una dinamica superiore rispetto al suo parente prossimo (carico simmetrico), oltre alla minor distorsione percepita ad alti livelli grazie ai due volumi accordati a frequenze diverse. Un altro vantaggio è sicuramente un ulteriore contenimento delle dimensioni totali del box rispetto al carico simmetrico, del quale conserva la buona “mimetizzazione”.
CONTRO: essenzialmente va considerata la maggiore pendenza in gamma bassa, che può generare una sensazione di minor smorzamento, comunque gestibile con un’accurata progettazione.
Conclusioni
Con le brevi e semplici trattazioni precedenti, possiamo ritenere di aver parlato dei sistemi più utilizzati per la realizzazione di Subwoofer: va detto che in tutte le configurazioni è possibile utilizzare più di un altoparlante, sia semplicemente in coppia, che in configurazione push-pull
configurazione multi-altoparlante configurazione push-pull
Va precisato che, mentre per una configurazione multi-altoparlante si tratta semplicemente di raddoppiare il volume di carico del box e i componenti, per i sistemi push-pull il volume viene dimezzato, ma con una ulteriore serie di considerazioni che rimandiamo a una trattazione più specifica e meglio dettagliata, dedicata a chi magari vuole cimentarsi nella progettazione e autocostruzione del proprio Subwoofer: in questa sede ci basti sapere che esistono altre possibili configurazioni.
Il subwoofer: cos’è?
PARTE 2
di Umberto Valentini , pubblicato il 20 maggio 2016 nel canale ARCH-HIFI
Costruzione del “mobile”
Quando valutiamo il box che contiene il nostro Subwoofer, dobbiamo sempre ricordarci che è il componente chiamato a riprodurre la porzione più energetica e “brutale” del segnale musicale un altoparlante di buona potenza impone alla membrana escursioni di alcuni millimetri e con enormi accelerazioni, spostando e comprimendo l’aria contenuta nel box con apprezzabile violenza. Questo fenomeno comporta che, in presenza di una struttura del box non sufficientemente rigida, parte dell’energia prodotta viene dissipata (e quindi sprecata) dalle vibrazioni e deformazioni del box. In base a queste considerazioni, è semplice enunciare che necessiteremo di un contenitore robusto, ma non basta: esso dovrà essere anche il più rigido e smorzato (esente da vibrazioni) possibile.
Per ottenere simili caratteristiche vi sono diversi accorgimenti che vanno dal materiale utilizzato e lo spessore delle pareti del box, fino all’applicazione di alcuni rinforzi interni (barre e/o paratie)
Va anche detto che box di dimensioni ridotte avranno meno problemi rispetto ai box più grandi: infatti all’aumentare della superficie esposta alla pressione dell’aria spostata dall’altoparlante, corrisponde una maggiore sensibilità a vibrazioni e flessione della parete. Oggi ormai quasi la totalità dei marchi di una certa affidabilità, ricorre a puntuali misurazioni delle accelerazioni a cui sono sottoposte le pareti dei box, apponendo così con maggior precisione gli adeguati rinforzi nelle zone giuste.
Risolto il problema della rigidità delle pareti, va tenuto in considerazione anche il fenomeno degli “sfiati” dell’aria violentemente compressa, sia nelle giunture delle varie pareti costituenti il box, che in corrispondenza dell’alloggiamento dell’altoparlante e del modulo delle connessioni e/o dell’amplificazione. Generalmente tutti gli altoparlanti vengono oggi realizzati con una guarnizione in materiale sigillante in corrispondenza della superficie che sarà a contatto con l’alloggiamento previsto, risolvendo così il problema sul nascere. Diversamente per le giunture è spesso sufficiente una buona sigillatura con abbondante colla (o colla a caldo) applicata dall’interno a mobile assemblato. Per quanto riguarda il modulo connessioni/amplificazione invece è consigliabile realizzare un volume separato internamente al box (al limite una vaschetta), anch’esso da sigillare attentamente con abbondante colla a caldo.
Il subwoofer: cos’è?
PARTE 3
di Umberto Valentini , pubblicato il 20 maggio 2016 nel canale ARCH-HIFI
Estensione e taglio delle frequenze
Come abbiamo visto nella trattazione dei sistemi di carico più diffusi, esistono configurazioni che prevedono piccoli volumi e altre che richiedono mobili di maggiori dimensioni: a questa prima distinzione e con effetti proporzionali, si aggiunge quella che deriverà dall’utilizzo di altoparlanti per la realizzazione di un Subwoofer definibili piccoli (5-10’’ ovvero circa 13-25 cm. di diametro) o grandi (12-18’’ ovvero circa 30-46 cm. di diametro).
E’ ovvio che piccoli altoparlanti in piccoli box avranno maggiori difficoltà a riprodurre l’intervallo di frequenze più basse che soprattutto si richiedono a un Subwoofer (20-40 Hz) a livelli accettabili, sia per propri limiti fisici, che per la ridotta quantità di aria che saranno in grado di spostare. Oggi esistono altoparlanti di piccole dimensioni con escursioni anche di 10-12 mm. che, installati in configurazioni particolari, riescono a riprodurre frequenze fino a qualche anno fa impensabili, ma sempre a prezzo di qualche compromesso o nella banda di frequenze riprodotta, o nella “fame” di potenza necessaria.
In ogni caso, potendoselo permettere, è comunque preferibile un grande Subwoofer con il suo grande box, ovviamente più costoso e difficile da posizionare in ambiente (non parliamo più di mimetizzazione, a meno di interventi di custom installation progettati a monte), ma sicuramente capace di prestazioni senza compromessi.
Affrontiamo ora il discorso della “frequenza di taglio” di un Subwoofer: abbiamo ormai capito che un Subwoofer è chiamato a riprodurre la porzione inferiore del segnale musicale, ovvero le frequenze più basse riproducibili. Per fare questo, sarà necessario “filtrare” il segnale a monte, in modo che solo l’intervallo di frequenze desiderate arrivino al nostro altoparlante: ciò si ottiene attraverso un crossover o filtro appunto, che non è altro che un circuito deputato proprio allo scopo. Nei Subwoofer che necessitano di un’amplificazione esterna esso sarà di tipo passivo, nei modelli di Subwoofer amplificati invece è contenuto nell’elettronica ed è definito attivo: in sostanza il primo (passivo) filtra un segnale già amplificato, mentre il secondo (attivo) agisce sul segnale prima che sia amplificato.
Una trattazione approfondita dei filtri o crossover, passivi o attivi che siano, richiederebbe spazio e competenze non previste in questa sede, ma dobbiamo almeno introdurre un’ulteriore nozione che riteniamo utile: i filtri passivi hanno generalmente una frequenza di taglio fissa (alcuni modelli prevedono 2-3 posizioni, ma sempre a frequenze predeterminate), mentre il filtro attivo normalmente è del tipo a regolazione continua, permettendo così di adattare meglio il taglio a situazioni specifiche.
A questo punto decidiamo come dev’essere filtrato il nostro Subwoofer, ovvero a partire da quale frequenza il crossover (passivo o attivo) dovrà impedire la riproduzione delle frequenze superiori: personalmente, in base a diverse esperienze in merito, ritengo non sia consigliabile filtrare oltre gli 80 Hz e consiglio di partire da tale frequenza e, per successivi aggiustamenti, trovare il giusto equilibrio con il resto del sistema di diffusori e l’ambiente, in modo che non si percepisca la provenienza ma solo la maggiore energia delle frequenze più basse. Ovviamente questo procedimento può essere seguito solo in caso di filtri attivi (peraltro ormai i più diffusi): per i Subwoofer di tipo passivo, non si può che provarne diversi modelli, alla ricerca di quello che meglio si accoppi col resto dell’impianto e l’ambiente in cui sarà installato.
Il subwoofer: cos’è?
PARTE 4
di Umberto Valentini , pubblicato il 20 maggio 2016 nel canale ARCH-HIFI
Emissione e Tenuta in Potenza
Innanzitutto dobbiamo chiarire un concetto che ai più sarà magari già noto, ma molti fanno confusione: un altoparlante non crea nessun watt.
L’altoparlante in se non fa altro che “trasformare” un segnale elettrico in movimento meccanico della membrana, grazie alla interazione tra il campo magnetico che si genera nella bobina e quello del magnete: questo movimento sposta dell’aria che per attrito produce i suoni che sentiamo.
Quindi quando leggiamo etichette o depliants di Subwoofer passivi, normalmente i Watt riportati sono sempre riferiti alla quantità di potenza applicabile a quel particolare modello e non a quanta potenza potrà erogare: questo è compito dell’amplificazione!
Un discorso diverso può farsi per i Subwoofer attivi: in questo caso il dato riguardante i Watt si riferisce si alla potenza, ma dell’amplificatore di cui il sistema è dotato.
E’ del tutto evidente che nel caso di Sub passivi sarà importante collegare il Sub a un amplificatore che non eroghi più potenza di quanta ne possa sopportare, mentre per i Sub attivi, già progettati unitamente all’amplificazione di cui sono equipaggiati, tale preoccupazione non sussiste.
Discorso completamente differente è la pressione sonora ottenibile dal nostro Subwoofer: citando l’ottimo Gian Piero Matarazzo (autorevole firma di AudioReview) “…la massima pressione indistorta è direttamente proporzionale al volume di aria spostata ed al quadrato della frequenza…. se vogliamo ottenere pressioni maggiori a certe frequenze, abbiamo una sola strada da percorrere, quella di aumentare o la superficie dell’altoparlante o la sua escursione. Raddoppiando il diametro (che equivale a quadruplicare l’area di emissione) si ottiene alla stessa frequenza una pressione maggiore di 12 dB, mentre a parità di diametro raddoppiando l’escursione si ottiene un aumento di soli 6 dB”
Dal che si comprende meglio l’affermazione “In ogni caso, potendoselo permettere, è comunque preferibile un grande Subwoofer con il suo grande box…” enunciata da me nella PARTE 3.
Altro dato interessante è che, senza entrare in complicate spiegazioni, la distribuzione della potenza necessaria alle diverse frequenze per ottenere pressioni accettabili non è costante: in un intervallo di circa 100 Hz l’estremo inferiore assorbirà circa l’80-90% della potenza totale, lasciando alle frequenze superiori solo un 10-20% (so che questa semplificazione è molto spinta, ma in questa sede ritengo sufficiente più che altro affermare il principio).
Quindi in buona sostanza, potremmo affermare che, in relazione alla configurazione e all’ambiente, più potenza possibile per il Subwoofer, non ve ne pentirete.
Il subwoofer: cos’è?
PARTE 5
di Umberto Valentini , pubblicato il 02 maggio 2016 nel canale ARCH-HIFI
Trattamento del segnale
Da tutto quello che abbiamo detto fin qui, abbiamo capito che tanti sono i parametri che entrano in gioco perché un Subwoofer faccia per bene il suo lavoro e altrettante sono le strade progettuali che è possibile percorrere per ottenere il risultato (con più o meno compromessi). Assodato che sia conseguito il risultato principale, ossia di essere in grado di riprodurre la porzione più bassa del segnale con sufficiente pressione e qualità, il problema che comunque qualsiasi Subwoofer dovrà affrontare è come “dialogare” col resto dell’impianto e con l’ambiente in cui dovrà suonare.
Nel caso utilizzassimo un Subwoofer passivo, le possibilità di controllo saranno quasi sempre assenti, dovendo quindi impostare la scelta o su modelli dedicati al sistema di diffusori che intendiamo usare come “satelliti”, o attraverso una serie di prove in ambiente (se possibile), o attraverso i controlli presenti nel nostro amplificatore se dotato di una sezione sub.
connessioni tipiche di subwoofer passivo
Infatti dall’immagine possiamo notare come siano presenti esclusivamente gli ingressi a cui vanno collegati i cavi provenienti dalla uscite dell’amplificatore e un’uscita, spesso filtrata alla stessa frequenza a cui sarà filtrato il Sub, a cui collegare i diffusori principali (utilizzabile o meno), per un comportamento che possiamo vedere nella figura sotto in cui in rosso abbiamo la risposta in frequenza del sub (filtrata con un passa-basso) e in nero quella dei diffusori principali filtrati (passa-alto) alla stessa frequenza del sub.
Diversamente per i Sub attivi (o per i passivi collegati a un amplificatore dotato di una completa sezione di controllo elettronico del Sub), dando uno sguardo al pannello posteriore nell’immagine sotto, avremo a disposizione un’ampia possibilità di “modellare” il comportamento del nostro Subwoofer in modo da ottenere il miglior interfacciamento possibile con i diffusori principali (particolarmente importante e spesso il problema maggiore da risolvere) e con l’ambiente:
Proviamo a capire un po’ meglio cosa potremo fare con questi controlli e come utilizzarli:
Controllo del Livello di uscita (Volume): permette di regolare al meglio l’apporto del Subwoofer adattandolo, di volta in volta, al tipo di messaggio musicale riprodotto.
Controllo continuo di Fase: semplificando un po’ i concetti, possiamo dire che ad ogni sfasamento acustico corrisponde un ritardo dell'emissione acustica, e quindi se la fase acustica è fortemente variabile, al variare della frequenza, è come se i vari altoparlanti (o le varie frequenze) suonassero (e/o fossero suonate) in tempi diversi. E’ importante controllare (minimizzare) la fase acustica relativa tra le varie sorgenti acustiche, in particolare per il subwoofer, chiamato a riprodurre frequenze con lunghezza d’onda molto ampia: la possibilità di variare la fase da zero a 180° senza soluzione di continuità, provvede proprio a trovare il giusto punto di “rifasamento” (passatemi la semplificazione) rispetto all'emissione degli altri diffusori acustici dell’impianto. La Fase dipende anche dalla distanza del Subwoofer dal punto d’ascolto e quindi, almeno in teoria e se non disponiamo di regolazione della fase, si potrebbe procedere empiricamente a variare tale distanza cercando il punto ideale, ma proprio come ultima spiaggia e coadiuvati da un “orecchio” molto ben allenato.
Controllo continuo del Taglio di Frequenza: effettua il taglio delle frequenze a partire dal quale non vogliamo che il Subwoofer riproduca suoni a livello apprezzabile (passa-basso). Dal valore impostato, il livello decade con un attenuazione che dipenderà dal tipo di taglio: generalmente vengono previsti tagli a 12 dB o 24 dB. All’aumentare del valore di dB, possiamo dire che aumenta la rapidità con cui all’aumentare della frequenza diminuisce il livello emesso. Va osservato che in realtà il valore indicato dal potenziometro del crossover elettronico non corrisponde mai alla reale frequenza di taglio acustico: quasi sempre l’effettiva frequenza è superiore a quella indicata e quindi, anche qui, bisogna procedere usando le orecchie e non impostazioni standard. Personalmente non amo sentire il Subwoofer riprodurre frequenze superiori agli 80 Hz, ma sistema per sistema, va cercato il giusto interfacciamento con i diffusori principali.
Ingresso Segnale preamplificato: questo è l’ingresso a cui collegheremo l’uscita “subwoofer” (se presente) del nostro ampli o comunque una qualsiasi uscita preamplificata.
Uscita Segnale preamplificato: da questi connettori possiamo (ma anche no) prelevare il segnale necessario a pilotare l’amplificazione che si occuperà dei diffusori principali, filtrata (generalmente alla stessa frequenza decisa per il Subwoofer) o meno: ovviamente il filtro in questo caso opera esattamente al contrario, ovvero lascerà passare le frequenze superiori alla frequenza di taglio impostata (passa-alto).
Conclusioni
In conclusione, un breve cenno al posizionamento del Subwoofer in ambiente: va subito detto che la porzione di frequenze riprodotte da un Sub ha la caratteristica di essere poco direzionali. Questo, unitamente a un buon settaggio di tutti gli altri parametri, rende possibile posizionarlo quasi ovunque nel nostro locale d'ascolto, arrivando anche a "nasconderlo" all'interno di mobili e/o murature ove possibile.
Siamo arrivati alla fine di questa trattazione che spero abbia chiarito gli aspetti principali dell’argomento: volutamente molti concetti sono stati semplificati al limite della superficialità, ma l’intento non era quello di realizzare un trattato scientifico. Piuttosto il desiderio era di fornire alcune indicazioni utili a operare una scelta consapevole del Subwoofer più adatto alle proprie esigenze e spero di esserci riuscito. Comunque, per chi fosse interessato ad approfondire o semplicemente avesse qualche dubbio, resto a disposizione: contattatemi su www.arch-hifi.it o info@arch-hifi.it.
Ricordo che chi volesse qualche informazione in più sulla stereofonia può cliccare qui e per l’Home Theater qui, mentre se vi interessa la "custom installation" qui potete farvi un'idea.
Vorrei ancora ricordare che per alcuni contributi ho attinto a piene mani (e spero mi perdoneranno le approssimazioni operate per semplificare) da articoli e pubblicazioni di Gian Piero Matarazzo e Franco Sorino (autorevoli firme della rivista AudioReview) e Paolo Viappiani che, in maniera molto più scientifica e approfondita, hanno trattato questo e altri argomenti legati ai diffusori acustici.
A questo punto non resta che mettersi all’opera e godersi i risultati, buon lavoro!